Linee guida per la misurazione e valutazione della performance individuale
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Queste linee guida sono redatte ai sensi del d.lgs. 150/2009 e dell’articolo 3, comma 1, del dPR n. 105 del 2016 che attribuiscono al Dipartimento della Funzione Pubblica (DFP) le funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio in materia di ciclo della performance, avvalendosi del supporto tecnico e metodologico della Commissione Tecnica per la Performance (CTP) di cui all’articolo 4 del citato dPR. In questa sede, in particolare, si forniscono alle amministrazioni indicazioni di maggior dettaglio in ordine alla misurazione e valutazione della performance individuale rispetto a quanto già previsto nelle precedenti linee guida del Dipartimento e, in particolare, nelle linee guida n. 2/2017.
Sommario
2 Le finalità della valutazione della performance individuale
2.1 Le dimensioni della performance individuale
2.3 Le tempistiche e la frequenza della valutazione
3 Elementi essenziali della valutazione della performance individuale
3.1 Performance individuale e performance organizzativa
3.2 Il processo di misurazione e valutazione della performance individuale
3.4 La differenziazione delle valutazioni
3.5 Dizionario dei comportamenti attesi
4 Oltre la valutazione della prestazione
1 Presentazione
- elementi di riferimento dei sistemi di misurazione e valutazione della performance individuale;
- processo, che ripercorre le fasi in cui si articola il ciclo della performance individuale dalla programmazione alla valutazione.
- sul piano individuale, consentendo la valorizzazione delle capacità e delle competenze dei singoli anche attraverso la definizione di percorsi di sviluppo e crescita professionale
- sul piano organizzativo, in quanto il miglioramento della performance dei singoli comporta inevitabilmente anche un miglioramento dell’intera organizzazione e dei servizi da essa erogati; gli esiti della valutazione, inoltre, possono essere utilizzati per ripensare eventualmente la struttura e/o i processi organizzativi, attraverso attività di reingegnerizzazione.
- una distinzione non sempre esplicita e immediata fra performance organizzativa ed individuale;
- un limitato ricorso ad alcuni elementi rilevanti del processo di misurazione e valutazione della performance individuale (quali, ad esempio, i colloqui di feedback);
- un limitato impiego di strumenti quali i Dizionari dei comportamenti attesi o i meccanismi di calibrazione ex ante ed ex post;
- una scarsa differenziazione delle valutazioni.
2 Le finalità della valutazione della performance individuale
Il punto di partenza per un più efficace approccio ai SMVP è costituito da una riflessione sulle diverse finalità organizzative che l’amministrazione intende perseguire attraverso la valutazione della performance individuale.
Infatti, in relazione allo scopo che si prefigge è possibile tratteggiare in modo differente il contenuto della performance individuale misurata e valutata, anche in funzione del diverso contesto organizzativo in cui l’amministrazione si trova ad operare. Ciò implica che, nel momento in cui si progettano i predetti sistemi, l’amministrazione deve avere ben chiari gli obiettivi che intende perseguire e le azioni che può porre in essere all’esito dell’attività di valutazione.
La performance individuale, anche ai sensi di quanto previsto dal Titolo III del d.lgs. 150/2009, oltre che per l’erogazione del trattamento economico accessorio e per l’attribuzione di progressioni economiche e di carriera, deve essere anche impiegata per:
- individuare i gap di competenza e definire percorsi formativi e professionali specifici; a questo proposito è necessario tenere in considerazione due aspetti:
- da un lato, si tratta di stabilire quanto questi possano essere direttamente collegati ai processi di valutazione della performance; in altre parole, risulta necessario stabilire se i risultati della valutazione possono determinare l’accesso a percorsi formativi in linea con i gap di competenza evidenziati;
- dall’altro lato, si tratta di decidere se i percorsi formativi distintivi (ad es. master o coaching) possono rappresentare una delle alternative premiali a fronte del raggiungimento di elevati livelli di performance individuale (cfr. paragrafo 3.6);
- conferire incarichi di responsabilità (anche a livello dirigenziale); in questo caso è necessario precisare la funzione riconosciuta alla performance individuale: quest’ultima può rappresentare un requisito d’accesso (l’incarico può essere assegnato solo a fronte di valutazioni positive ricevute in un determinato arco temporale o, viceversa, non può essere assegnato a fronte di una valutazione non pienamente soddisfacente) oppure una delle variabili considerate ai fini dell’assegnazione dell’incarico (ad esempio, insieme ad una valutazione di potenziale o ad una valutazione di un progetto di cambiamento che si vuole promuovere con il nuovo incarico).
In virtù di quanto precede, appare auspicabile la costruzione di un Sistema a geometria variabile, in funzione dei diversi scopi che si vogliono perseguire. All’interno di tale Sistema, una volta definito il ruolo della performance individuale in relazione ai diversi scopi perseguiti, è possibile:
- attribuire un peso differente alle diverse dimensioni che compongono la performance individuale (art. 9, d.lgs. 150/2009) o selezionare specifici contenuti all’interno delle medesime dimensioni;
- prevedere metodi di valutazione differenti rispetto a quelli ordinariamente utilizzati (ad esempio la c.d. valutazione 360°);
- prevedere tempistiche e frequenze differenziate per le diverse tipologie di valutazione introdotte.
2.1 Le dimensioni della performance individuale
Un primo modo per poter avere sistemi di valutazione più flessibili a seconda delle diverse finalità è quello di variare i sistemi di ponderazione. A tale proposito, nelle linee guida n. 2/2017 si è già chiarito come la performance individuale, anche ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 150/2009, sia l’insieme dei risultati raggiunti e dei comportamenti realizzati dall’individuo che opera nell’organizzazione.
In particolare, è stato evidenziato che le dimensioni che compongono la performance individuale sono:
- risultati, riferiti agli obiettivi annuali inseriti nel Piano della performance o negli altri documenti di programmazione; essi sono a loro volta distinguibili, in base a quanto l’amministrazione indica nel proprio SMVP, in:
- risultati raggiunti attraverso attività e progetti di competenza dell’unità organizzativa di diretta responsabilità o appartenenza;
- risultati dell’amministrazione nel suo complesso o dell’unità organizzativa sovraordinata cui il valutato contribuisce;
- risultati legati ad eventuali obiettivi individuali specificamente assegnati;
- comportamenti, che attengono al “come” un’attività viene svolta da ciascuno, all’interno dell’amministrazione; nell’ambito della valutazione dei comportamenti dei dirigenti/responsabili di unità organizzative, una specifica rilevanza viene attribuita alla capacità di valutazione dei propri collaboratori.
Senza entrare in questo paragrafo nel dettaglio di come queste dimensioni siano diversamente declinate per il personale dirigente e non dirigente, si riporta di seguito un esempio di come si potrebbero attribuire pesi diversi alle differenti dimensioni che compongono la performance individuale in modo da enfatizzare alcuni aspetti che si ritengono maggiormente rilevanti per perseguire una specifica finalità. Si tratta, è bene sottolinearlo, di esempi meramente teorici: spetta a ciascuna amministrazione, tenuto conto dell’impostazione del proprio SMVP e del contesto di riferimento, individuare le ponderazioni maggiormente rispondenti alle finalità che si vogliono perseguire.
Oltre all’utilizzo di pesi differenti, si potrebbe immaginare di selezionare solo specifici contenuti all’interno delle diverse dimensioni in relazione alla finalità perseguita. Ad esempio, per la valutazione dei gap di competenza potrebbero essere selezionati alcuni comportamenti specifici tra quelli inclusi all’interno dei Dizionari dei comportamenti dell’amministrazione. Inoltre, ai fini della conferma di un incarico, la valutazione potrebbe tenere conto solo di una parte predefinita di obiettivi e correlati indicatori assegnati in sede di conferimento dell’incarico e rispetto ai quali rendere conto al termine dello stesso per un eventuale rinnovo. Tali obiettivi potrebbero anche non fare riferimento ad azioni strategiche o ai servizi erogati, bensì a innovazioni organizzative e gestionali, al miglioramento dell’engagement e delle competenze dei collaboratori.
2.2 I metodi di valutazione
L’amministrazione potrebbe prevedere di introdurre nel proprio Sistema nuovi metodi di valutazione che prevedono il coinvolgimento di ulteriori soggetti valutatori. In particolare, oltre alla valutazione effettuata dal superiore gerarchico, che attualmente rappresenta il modello largamente prevalente, potrebbero essere utilizzate:
- la valutazione dal basso (nella quale sono i collaboratori che esprimono un giudizio sul proprio superiore);
- la valutazione fra pari (nella quale sono coinvolti i colleghi, soprattutto quelli con i quali si ha un rapporto più costante e rilevante);
- la valutazione da parte di stakeholder esterni (per esempio, da parte degli utenti di un servizio erogato dall’ufficio o di un campione di cittadini opportunamente individuato o da altri portatori di interessi, fondamentale quando si tratta di dipendenti a stretto contatto con il pubblico);
- la valutazione a 360° (che prevede l’utilizzo combinato di tutte le forme di valutazione precedenti).
Anche in questo caso, occorre definire quale dei suddetti metodi risulti più funzionale per le diverse finalità della valutazione. Spetta a ciascuna amministrazione, tenuto conto dell’impostazione del proprio SMVP, del livello organizzativo del soggetto valutato (dirigente apicale, dirigente II fascia responsabile di un ufficio a diretto contatto con il pubblico, funzionario, ecc.) e del contesto di riferimento, individuare la fonte di giudizio maggiormente rispondente alle finalità che si vogliono perseguire. Si riporta di seguito un esempio meramente indicativo del possibile utilizzo differenziato delle fonti di giudizio con riguardo al personale dirigente.
Si sottolinea come l’amministrazione, nel prevedere nel proprio SMVP metodi di valutazione ulteriori rispetto alla valutazione del superiore gerarchico, deve anche indicare su quali dimensioni di performance individuale potranno essere chiamati ad esprimersi i diversi soggetti sopra indicati. A titolo di esempio, la valutazione da parte dei collaboratori potrebbe fare riferimento ai comportamenti agiti, o ad un sottoinsieme degli stessi, mentre gli stakeholder esterni potrebbero essere coinvolti nella valutazione dei risultati raggiunti, anche alla luce di quanto previsto dalle linee guida n. 4/2019 sulla valutazione partecipativa nelle amministrazioni pubbliche.
Box 1 – Oltre la valutazione gerarchica L’impiego di un metodo meramente gerarchico di valutazione non ha sempre favorito nella pratica organizzativa la diffusione di una visione condivisa e di un approccio partecipativo al processo di misurazione e valutazione della performance individuale, con conseguenze potenzialmente negative sul livello di motivazione e di engagement dei dipendenti pubblici. Al contempo, il mancato allargamento del perimetro di valutazione a soggetti terzi, diversi dal dirigente valutatore, ha contribuito in alcuni casi a diffondere una scarsa percezione di oggettività con riferimento al processo e al metodo di valutazione. La previsione di metodi di valutazione volti al coinvolgimento di una pluralità di soggetti può pertanto contribuire a dare nuova linfa alla leva della valutazione della performance individuale. In dettaglio, come riportato nelle Linee guida n. 4/2019 sulla valutazione partecipativa, l’apertura anche agli stakeholder dell’amministrazione (che includono potenzialmente non solo gli utenti finali dei servizi ma anche i cosiddetti utenti interni) contribuisce all’allineamento strategico tra performance individuale e organizzativa, agendo sulla “rilevanza percepita” del proprio contributo individuale al raggiungimento delle priorità strategiche dell’amministrazione e alla customer satisfaction degli utenti. Meccanismi di valutazione “dal basso” o “tra pari” sono coerenti con l’introduzione di metodi di valutazione di feedback 180°, strumento declinabile in maniera differente in funzione del livello organizzativo del valutato. Nel caso del personale dirigente, un’autovalutazione può essere affiancata dal coinvolgimento dei propri collaboratori (attraverso forme di valutazione dal basso) mentre nel caso del personale dipendente di livello non dirigenziale, la valutazione ad opera del proprio superiore gerarchico può essere integrata dal giudizio espresso dai colleghi che fanno parte della medesima unità organizzativa (valutazione tra pari). Infine, la previsione di strumenti di feedback 360° implica una sofisticazione maggiore del Sistema con il coinvolgimento dei propri pari, del proprio superiore gerarchico in combinazione con meccanismi di autovalutazione e con l’inclusione di report sulla soddisfazione dei propri utenti esterni e/o interni. È importante sottolineare come l’introduzione dei diversi metodi di valutazione debba essere declinata non solo in funzione delle diverse finalità della misurazione e della valutazione (più amministrative o di sviluppo) ma anche del diverso grado di maturità del Sistema (livello di condivisione del Sistema nell’organizzazione, numero di anni in cui è stato introdotto il Sistema) e di complessità organizzative (numero di valutati per ciascun dirigente valutatore, numero medio di risorse per ufficio/unità organizzativa). Metodi più sofisticati come il feedback 360° sono auspicabili in presenza di una maggiore maturità del Sistema e di un minor grado di complessità organizzativa. Indipendentemente dal metodo di valutazione introdotto, è fondamentale abbinare la valutazione alla previsione di momenti di feedback (formali e informali, nell’ottica del feedback continuo), quale leva per accompagnare le persone nel loro sviluppo professionale, nonché ad attività di formazione mirata per valutatori e valutati sul dare e ricevere feedback. Infine, soprattutto in contesti organizzativi ad alta complessità, con un numero elevato di valutati per ciascun valutatore, si suggerisce l’individuazione di figure intermedie (tutor) capaci di supportare il valutatore nella formulazione del giudizio, di favorire la comunicazione interna, la condivisione delle dimensioni oggetto di misurazione e delle finalità sottese al Sistema. |
2.3 Le tempistiche e la frequenza della valutazione
Ultima variabile è quella della tempistica o frequenza di valutazione. Infatti, mentre per le finalità connesse all’erogazione del trattamento economico accessorio è necessario che la performance individuale sia valutata annualmente, per altre finalità potrebbero essere definiti orizzonti temporali diversi e più funzionali ad un corretto svolgimento del processo medesimo.
Ad esempio, in caso di conferimento di un incarico, coerentemente con quanto prima ipotizzato in termini di contenuti (cfr. paragrafo 2.1), si potrebbe prevedere una valutazione triennale (in funzione della durata dello stesso). Ancora, ipotizzando l’utilizzo di una valutazione a 360° per i dirigenti ai fini del conferimento dei successivi incarichi, si potrebbe considerare un orizzonte di valutazione triennale. La previsione di frequenze differenziate, inoltre, potrebbe rendere più gestibili e concretamente utilizzabili metodi come il 360° stesso e la valutazione dal basso o fra pari.
Anche le valutazioni effettuate per la progettazione di percorsi formativi mirati potrebbero essere effettuate con cadenze diverse dall’anno, magari in maniera ciclica.
3 Elementi essenziali della valutazione della performance individuale
Nei paragrafi che seguono viene richiamata l’attenzione su alcuni aspetti utili per la definizione di un SMVP in grado di rispondere più efficacemente alle esigenze dell’amministrazione per il perseguimento delle molteplici finalità appena richiamate. In particolare, si ricorda che i sistemi devono:
- esplicitare il rapporto fra performance individuale e performance organizzativa e relativi obiettivi;
- contenere indicazioni di processo e di metodo che favoriscano il miglioramento delle performance individuali e della qualità dei servizi resi;
- chiarire cosa debba intendersi per valutazione negativa ai sensi dell’art. 3, comma 5-bis, del d.lgs. 150/2009;
- favorire la differenziazione delle valutazioni;
- introdurre o potenziare l’impiego del Dizionario dei comportamenti ai fini valutativi;
- agire sugli effetti del Sistema attraverso l’introduzione di meccanismi di rewarding.
3.1 Performance individuale e performance organizzativa
I sistemi di valutazione devono proporre in modo chiaro la distinzione tra performance organizzativa e performance individuale. Analisi recenti hanno mostrato un’ambiguità interpretativa sul confine tra i due concetti che si traduce in una nomenclatura che genera confusione sulle dimensioni di valutazione, con particolare riferimento alle tipologie di obiettivi.
Dall’analisi di quanto fatto dalle amministrazioni negli anni precedenti, infatti, emergono una serie di criticità in merito alla corretta declinazione del rapporto fra obiettivi annuali (organizzativi) della struttura e obiettivi individuali del singolo.
In molte amministrazioni, in particolare, emerge:
- una completa identificazione fra le due tipologie di obiettivi, per cui sono definiti obiettivi individuali del dirigente quelli della struttura di diretta responsabilità;
- che il personale è destinatario di obiettivi (definiti come individuali) che nella pratica coincidono con gli obiettivi della struttura organizzativa; solo in casi residuali questi sono definiti sulla base delle attività specifiche svolte da parte di ciascun valutato.
In tal modo, però, rischia di perdere di significato la classificazione prevista dal legislatore che ha, invece, esplicitamente separato i due aspetti.
Un approccio di questo tipo, inoltre, tende a generare un effetto negativo sulla percezione dei meccanismi di valutazione. In particolare il personale non dirigente potrebbe avere la “sensazione” di “lavorare per la realizzazione degli obiettivi del dirigente” e non per raggiungere quelli della struttura di appartenenza.
Occorre quindi ribadire che obiettivi della struttura (performance organizzativa) e obiettivi (individuali) del dirigente e/o del dipendente sono due “entità” distinte:
- gli obiettivi di performance organizzativa rappresentano i “traguardi” che la struttura/ufficio deve raggiungere nel suo complesso e al perseguimento dei quali tutti (dirigenti e personale) sono chiamati a contribuire;
- gli obiettivi individuali, invece, sono obiettivi assegnati specificamente al dirigente o al dipendente, il quale è l’unico soggetto chiamato a risponderne: essi possono essere collegati agli obiettivi della struttura (andando, ad esempio, ad enucleare il contributo specifico richiesto al singolo), ma possono anche fare riferimento ad attività di esclusiva responsabilità del dirigente/dipendente e non collegate a quelle della struttura (es. incarichi ad personam).
La performance organizzativa può fare riferimento all’Ente nel suo complesso, e/o all’Unità/Struttura organizzativa, e/o al gruppo di lavoro. Essa può avere ad oggetto, in linea con quanto previsto dall’art. 8 del d. lgs. 150/2009, risultati di:
- outcome;
- piani/programmi strategici;
- attività/servizi/progetti;
- customer satisfaction;
- capacità organizzativa.
Chiaramente le due performance presentano punti di contatto. In particolare, per i dirigenti e il personale responsabile di un’unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità, lo stesso legislatore, all’art. 9 del d.lgs. 150/2009, stabilisce che il grado di raggiungimento degli obiettivi della struttura organizzativa di diretta responsabilità (performance organizzativa) contribuisce, in maniera prevalente, alla valutazione della performance individuale del dirigente, in quanto responsabile ultimo dell’ambito organizzativo cui si riferiscono. La stessa rilevanza non è, invece, prevista per il personale non dirigenziale per il quale il comma 2 del medesimo art. 9 prevede che la misurazione e la valutazione della performance individuale siano collegate:
- al raggiungimento di specifici obiettivi di gruppo o individuali;
- alla qualità del contributo assicurato alla performance dell'unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali e organizzativi.
Ciò implica che la valutazione della performance individuale del personale non dirigenziale può fare riferimento, oltre che ai comportamenti e competenze agite, a:
- obiettivi di gruppo, che sono obiettivi organizzativi e possono essere individuati:
- in una parte degli obiettivi della struttura organizzativa di appartenenza;
- in obiettivi relativi a progetti nei quali sono coinvolti alcuni dei collaboratori dell’ufficio, non necessariamente collegati agli obiettivi della struttura stessa;
- eventuali obiettivi individuali, per i quali restano valide le considerazioni fatte in precedenza con riferimento al personale dirigente (si rinvia agli esempi contenuti nel Box 2).
Spetta alla singola amministrazione stabilire se e in che misura assegnare obiettivi individuali anche al personale non dirigenziale, tenendo sempre a mente che il SMVP dovrebbe aiutare le persone a comprendere come le loro azioni possono influire sulla performance organizzativa (della struttura di appartenenza o anche su quella dell’amministrazione nel suo complesso), evitando però processi di scomposizione artificiosa degli obiettivi, dagli organizzativi ai vari livelli, fino a quelli individuali, che rischiano di rispondere ad un approccio meramente formale e adempimentale anziché ad una reale esigenza gestionale.
Box 2 - Esempio di differenziazione fra obiettivi organizzativi e obiettivi individuali L’art. 9 del d.lgs. 150/2009 prevede che nella valutazione della performance individuale di un dirigente è necessario tener conto della performance organizzativa del suo ambito di responsabilità, diretta conseguenza del suo operato. Ciò non toglie che gli obiettivi della struttura di diretta responsabilità non sono obiettivi individuali del dirigente. Per declinare correttamente gli obiettivi individuali è necessario che gli stessi siano in grado di misurare e valutare il contributo del singolo – espresso in termini di obiettivi specificamente attribuiti allo stesso – ai risultati collegati a piani/programmi strategici o attività/servizi/progetti e al raggiungimento dei più ampi obiettivi dell’amministrazione o della struttura/unità organizzativa. Tali obiettivi, a seconda del livello organizzativo del destinatario, possono avere contenuto diverso: ad esempio, per un obiettivo organizzativo relativo alla realizzazione di un progetto formativo che coinvolge l’intera organizzazione, un dirigente potrebbe avere un obiettivo di outcome (ad esempio, il miglioramento dell’item relativo all’utilità percepita della formazione individuale nella rilevazione annuale di clima organizzativo), un suo funzionario con responsabilità organizzative può avere un obiettivo di risultato (ad esempio, attivazione di almeno l’80% dei corsi a calendario) e un collaboratore può avere un obiettivo di attività (ad esempio, fare le convocazioni al corso almeno tre settimane prima dell’avvio). |
3.2 Il processo di misurazione e valutazione della performance individuale
La maggior parte dei sistemi di misurazione e valutazione della performance individuale adottati nel corso degli anni dalle amministrazioni prevedono una descrizione più o meno dettagliata del processo seguito per arrivare dalla definizione degli obiettivi fino all’assegnazione del “punteggio definitivo” a ciascun soggetto valutato.
In questa sede si vogliono, tuttavia, sottolineare alcuni aspetti di tale processo che non sempre risultano adeguatamente gestiti e che, invece, possono rappresentare un valore aggiunto dei sistemi.
Un primo elemento sul quale soffermare l’attenzione è la necessità di mettere in atto meccanismi di confronto sistematico tra valutato e valutatore, in tutte le principali fasi del processo. Nelle linee guida n. 2/2017 si è già sottolineato come i momenti di confronto fra valutato e valutatore siano indispensabili:
- nella fase di programmazione, quando i colloqui hanno lo scopo di assicurare la reale condivisione delle aspettative e dei traguardi da raggiungere e dei comportamenti attesi, laddove la “condivisione” non deve essere necessariamente intesa come un “accordo” fra le parti ma, piuttosto, come una reciproca conoscenza degli elementi che sono oggetto di valutazione;
- nella fase di monitoraggio intermedio, quando il confronto favorisce il coordinamento organizzativo, permette di analizzare le motivazioni di eventuali scostamenti dalla performance attesa, consente il riallineamento a fronte di cambiamenti sostanziali del contesto di riferimento;
- nella fase di valutazione, infine, quando il colloquio costituisce un momento di chiarificazione sulla prestazione del valutato, ma anche un’occasione di dialogo in cui valutatore e valutato individuano le modalità e le azioni di sviluppo organizzativo e professionale che consentano il futuro miglioramento della prestazione stessa.
Tempistica, frequenza, modalità di svolgimento, contenuti dei suddetti momenti di confronto sono definiti, sulla base delle specifiche esigenze, dalla singola amministrazione che dovrebbe anche preoccuparsi di verificare il reale svolgimento degli stessi e la “qualità” con cui gli stessi vengono condotti (ad esempio tramite l’impiego di una breve survey interna alla fine del processo di valutazione). Questo aspetto, tra l’altro, dovrebbe essere tenuto in considerazione per verificare la capacità di valutazione del dirigente.
Un secondo aspetto da tenere in considerazione è l’opportunità di prevedere un meccanismo di calibrazione delle valutazioni. Anche a tali strumenti si è già fatto riferimento nelle linee guida n. 2/2017, sottolineandone l’utilità con riferimento a:
- ponderazione delle valutazioni finali all’interno della stessa amministrazione o articolazione organizzativa;
- confronto tra dirigenti/valutatori sugli stili di valutazione e sull’impiego di standard trasversali;
- mitigazione del rischio di valutazioni fondate su metodologie disomogenee, al fine di ottenere una migliore qualità delle valutazioni.
Tali meccanismi di omogeneizzazione devono essere più efficacemente attivati sin dalla fase di programmazione, onde assicurare un maggiore equilibrio nell’assegnazione degli obiettivi da parte dei diversi soggetti coinvolti, e devono tradursi in momenti di confronto “strutturati” e finalizzati all’individuazione di modus operandi condivisi, ai quali partecipano tutti i valutatori del medesimo livello organizzativo, anche avvalendosi del supporto metodologico degli Organismi Indipendenti di Valutazione.
Anche gli incontri di calibrazione, pertanto, possono essere svolti in due distinti momenti:
- ex ante, al fine di calibrare il contenuto/peso degli obiettivi proposti e concordare il metro di valutazione da utilizzare;
- ex post, al fine di confrontare i giudizi espressi ed eventualmente rimodulare gli stessi per allineare le valutazioni.
Un terzo spunto di riflessione è relativo alle procedure di conciliazione, obbligatoriamente presenti in tutti i SMVP ai sensi del comma 2-bis dell’art. 7 del d.lgs. 150/2009.
Allo stato attuale si nota come tali procedure siano, per lo più, ricondotte alla previsione di una valutazione di II istanza, nella quale il superiore gerarchico del valutatore di I istanza (o altra figura appositamente individuata) è chiamato a formulare una nuova valutazione (che può ricalcare la precedente o discostarsi da essa).
Ferma restando la legittimità di tale previsione, è bene sottolineare che la valutazione di II istanza è configurabile comunque come una ulteriore fase, seppur eventuale, per la formulazione della valutazione definitiva. Le procedure di conciliazione operano, invece, a valle della conclusione del processo come strumento di garanzia per il valutato in ottica di prevenzione di eventuali contenziosi.
Ne consegue che la procedura di conciliazione deve prevedere l’individuazione di un soggetto terzo che può essere chiamato in causa dal valutato, laddove questi non concordi con gli esiti della valutazione, per analizzare i fatti e formulare ai due soggetti (valutato e valutatore) una proposta di conciliazione che cerca di tener conto delle posizioni di entrambe le parti e delle risultanze degli atti e della documentazione sottoposta al suo esame. In sede di conciliazione non vi è, pertanto, alcuna riformulazione unilaterale del giudizio (come può avvenire invece nella valutazione di II istanza) bensì una mera proposta che le parti sono libere di accettare o meno.
Il SMVP, quindi, deve descrivere tali procedure, individuando il soggetto deputato a formulare la proposta di conciliazione, le regole per l’attivazione e la gestione della procedura conciliativa, i possibili esiti della stessa.
Un ultimo aspetto sul quale si intende richiamare l’attenzione è la necessaria e chiara distinzione tra la fase di misurazione e quella di valutazione del raggiungimento di un obiettivo. Sovente, infatti, le due fasi sono gestite come contestuali e sostanzialmente coincidenti mentre, invece, si tratta di due momenti diversi che come tali devono essere trattati. In particolare, nella fase di misurazione si provvede a quantificare, nel modo più oggettivo possibile il valore effettivamente raggiunto/conseguito per ciascun indicatore utilizzato e a confrontarlo con il target precedentemente fissato, andando poi a calcolare il grado di raggiungimento di ciascun obiettivo.
Nella fase di valutazione, invece, si attribuisce un significato alla misurazione anche attraverso un’analisi degli scostamenti e delle evidenze rilevabili dell’eventuale mancato o parziale raggiungimento di un obiettivo. Questo significa, ad esempio, che a fronte di una misurazione che evidenzia un raggiungimento non completo di un obiettivo, il valutatore potrebbe successivamente stabilire, sulla base della suddetta analisi, che la valutazione sia comunque pienamente positiva in quanto lo scostamento risulta imputabile a fattori non controllabili dal valutato.
Va, infine, precisato che in tutti i casi in cui, al termine del processo di valutazione, dovessero emergere esiti che corrispondono a livelli di performance non del tutto soddisfacenti, l’amministrazione non dovrebbe limitarsi ad una mera presa d’atto dei predetti risultati, bensì prevedere meccanismi di gestione di tali esiti della valutazione.
Si richiama, in particolare, l’attenzione sull’utilizzo delle informazioni per l’attivazione di percorsi formativi ad hoc, andando ad agire a livello di singolo dipendente, o per la corretta collocazione del personale in determinati ruoli/uffici, intervenendo piuttosto sull’organizzazione nel suo complesso, soprattutto laddove sia emerso che gli scostamenti rilevati siano presumibilmente riconducibili a fattori organizzativi (quali, ad esempio, un’inefficace distribuzione delle risorse, un inefficace o inefficiente disegno del processo, ecc.)
3.3 La valutazione negativa
Al di là dei casi di fisiologica presenza di valutazioni non pienamente positive, da gestire secondo quanto indicato nel paragrafo precedente, il Legislatore nel 2017, ha espressamente previsto una fattispecie di prestazione completamente non rispondente alle aspettative che deve essere opportunamente disciplinata nel Sistema.
In particolare, l’art. 3, comma 5-bis, del d.lgs. 150/2009 prevede espressamente che “La valutazione negativa, come disciplinata nell'ambito del sistema di misurazione e valutazione della performance, rileva ai fini dell'accertamento della responsabilità dirigenziale e ai fini dell'irrogazione del licenziamento disciplinare ai sensi dell'articolo 55-quater, comma 1, lettera f-quinquies), del d.lgs.30 marzo 2001, n. 165, ove resa a tali fini specifici nel rispetto delle disposizioni del presente decreto”.
Questa disposizione va letta insieme al richiamato art. 55-quater che prevede il licenziamento disciplinare in caso di “insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell'ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell'articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 150 del 2009”.
Quanto sopra impone, quindi, alle amministrazioni di definire all’interno del proprio SMVP cosa la stessa intenda per valutazione negativa, definendo, ad esempio, una soglia di punteggio minima (all’interno della scala di valutazione definita nel Sistema stesso) al di sotto della quale la valutazione deve intendersi negativa. Resta fermo, viceversa, che non rientra tra i contenuti del SMVP la disciplina degli effetti connessi alla predetta valutazione negativa.
3.4 La differenziazione delle valutazioni
Com’è noto il d.lgs. 150/2009 ha da sempre rimarcato l’importanza della differenziazione delle valutazioni individuali che rappresenta un indicatore della qualità del Sistema. Ciò spiega perché la capacità di “valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi” costituisce una delle dimensioni obbligatorie nella valutazione individuale dei dirigenti, come prevede l’art.9, comma 1, lett. d).
L’esperienza applicativa, però, a prescindere dagli specifici contenuti dei sistemi adottati dalle amministrazioni, ha fatto emergere una diffusa difficoltà a restituire risultati valutativi in linea con la naturale “diversità” delle prestazioni rese.
Le cause sono probabilmente da ricercare sia nella mancanza di una sedimentata cultura della valutazione sia nello stretto legame che, di fatto, si è venuto a creare tra risultati della valutazione e sistemi premiali. Questa impostazione ha orientato i comportamenti dei soggetti chiave (sia valutatori che valutati) che hanno messo in atto atteggiamenti “difensivi” per disinnescare gli effetti dei sistemi di valutazione percepiti come negativi, determinando, in particolare, l’originarsi di forti resistenze interne alla differenziazione dei giudizi.
La mancata o scarsa differenziazione delle valutazioni implica, inoltre, rischi da un punto di vista organizzativo, avendo un impatto potenzialmente negativo sul livello di motivazione dei dipendenti, sull’equità percepita e sulla “credibilità” stessa del SMVP: ad un maggiore contributo al raggiungimento della performance complessiva dell’amministrazione da parte del singolo dipendente devono corrispondere non solo valutazioni migliori, ma anche la coerente attivazione degli strumenti di rewarding ed incentivazione, sia estrinseca sia intrinseca. L’appiattimento verso l’alto delle valutazioni, viceversa, non solo non ha consentito nella pratica organizzativa di individuare e premiare il merito, ma ha anche depotenziato la leva dell’incentivazione, trasformando il premio in un fattore che, da un lato, non è in grado di motivare i dipendenti, ma, dall’altro, qualora non erogato nella modalità e misura attesa, è causa di malcontento ed insoddisfazione all’interno delle organizzazioni.
Dovendo prendere atto di questa situazione, è stato sottolineato sopra come la differenziazione dei giudizi, pur non dovendo divenire il fine del SMVP, ne costituisce un utile indicatore di qualità. In altre parole, il Sistema funziona se è in grado di restituire una rappresentazione veritiera del contributo, ovviamente diverso in natura, fornito dai singoli ai risultati dell’organizzazione, sia in termini di obiettivi raggiunti, sia di comportamenti agiti.
È anche in tal senso che vanno intesi gli strumenti e le indicazioni di processo di cui ai paragrafi precedenti (momenti di confronto, feedback, omogeneizzazione), che sono in grado di agire sul livello di equità percepita da parte dei dipendenti circa il SMVP.
In particolare, meccanismi di confronto tra i valutatori in fase di programmazione (calibration ex ante) sono funzionali ad assicurare una maggiore chiarezza e omogeneità percepita del Sistema già in fase di definizione degli obiettivi e degli standard valutativi, mentre i medesimi incontri svolti in fase di valutazione finale (calibration ex post) permettono di confrontare i punteggi di valutazione assegnati e valorizzare il merito individuale all’interno dell’organizzazione.
La pratica organizzativa evidenzia come tali meccanismi di omogeneizzazione contribuiscano a rendere la valutazione della performance individuale più oggettiva, più confrontabile, più trasparente, meno soggetta a distorsioni e meno legata alla “soggettività” del singolo valutatore.
In altre parole, l’esito della valutazione – e quindi la presenza di differenze, anche significative, fra le valutazioni dei diversi soggetti - diventa potenzialmente più “accettabile”.
Accanto ai predetti elementi le amministrazioni possono, inoltre, intervenire sull’architettura del Sistema introducendo, anche in coerenza con le nuove indicazioni fornite in materia dai CCNL, meccanismi strutturali che spingano di fatto i valutatori a differenziare maggiormente i rispettivi giudizi, come ad esempio l’indicazione della percentuale massima di personale che può collocarsi nella fascia di merito più alta (cosiddetta quota di eccellenza).
Inoltre, con particolare riferimento al personale dirigenziale, il Sistema potrebbe escludere la collocazione nella fascia di merito più alta per i dirigenti che non dimostrino di aver correttamente esercitato il proprio ruolo di valutatori ai sensi del richiamato art. 9, comma 1, lett. d) del d.lgs. 150/2009.
3.5 Dizionario dei comportamenti attesi
Le linee guida n. 2/2017, come previsto dall’art. 9 del d.lgs. 150/2009, includono tra le dimensioni della performance individuale i comportamenti realizzati dall’individuo che opera nell’organizzazione. Al fine di garantire una piena attuazione di tali previsioni normative e di creare uno strumento finalizzato allo sviluppo professionale di dipendenti e dirigenti pubblici, si evidenzia la necessità di declinare i comportamenti a livello individuale, distinguendo gli oggetti di valutazione sulla base dei compiti e del ruolo ricoperto dal singolo all’interno dell’organizzazione (posizione di lavoro).
A tal fine, costituiscono attività preliminari la mappatura dei profili professionali presenti all’interno dell’organizzazione e la definizione delle attività/responsabilità che ciascun dipendente è chiamato a svolgere/assumere, in base alla specifica professione e al ruolo ricoperto (job description). Tali strumenti consentono all’amministrazione di sapere chi fa cosa all’interno dell’organizzazione e rappresentano il presupposto per identificare le competenze ed i comportamenti richiesti al singolo nella sua specifica posizione (job profile).
Al fine di introdurre una logica di gestione strategica delle risorse umane basata sulle competenze, si ritiene necessario definire i comportamenti necessari per svolgere le diverse attività organizzative in un apposito Dizionario.
I Dizionari dei comportamenti possono essere costruiti sulla base di logiche differenti a partire, ad esempio, dalle famiglie professionali presenti nell’amministrazione piuttosto che dai ruoli o dalle posizioni o dai valori/obiettivi strategici. I Dizionari indicano, quindi, a partire dall’oggetto identificato, lo specifico profilo di competenze e comportamenti richiesti.
Tali comportamenti possono essere descritti sia in termini generali sia attraverso la definizione del livello atteso per ciascun ruolo/posizione organizzativa.
I comportamenti, inoltre, possono fare riferimento a:
- competenze tecnico-specialistiche;
- competenze professionali trasversali;
- competenze manageriali e di leadership;
- comportamenti organizzativi.
Dopo aver definito le competenze richieste per ciascun ruolo/posizione di lavoro, la valutazione della performance individuale può avvenire sulla base dei comportamenti individuati all’interno del Dizionario per lo specifico ruolo o posizione di lavoro coperto da ciascun dipendente.
In questo modo, la valutazione della performance individuale viene utilizzata come strumento per mappare le competenze possedute da dipendenti e dirigenti pubblici, così come agite nello svolgimento del proprio lavoro, sulla base dei compiti e del ruolo organizzativo ricoperto dal singolo individuo.
Di conseguenza, attraverso la valutazione dei comportamenti e delle competenze individuali, è possibile identificare i gap tra le competenze richieste e le competenze possedute da parte del singolo dipendente, rilevando i fabbisogni formativi individuali.
L’introduzione del Dizionario dei comportamenti consente di attivare in maniera più efficace anche le altre leve di gestione delle risorse umane al fine di colmare i gap di competenze emersi in fase di valutazione della performance individuale.
A titolo esemplificativo, attraverso il sistema descritto in queste linee guida è possibile: (i) disegnare percorsi formativi sulla base dei fabbisogni individuali; (ii) utilizzare il Dizionario dei comportamenti nei processi di selezione del personale, verificando il possesso da parte dei candidati delle competenze richieste per la specifica posizione da ricoprire; (iii) definire percorsi di mobilità verificando la maggiore aderenza delle competenze possedute da un dipendente ad un diverso profilo professionale; (iv) orientare lo sviluppo delle competenze di leadership dei dirigenti.
Attraverso una corretta impostazione e utilizzo dei Dizionari è anche possibile valorizzare la capacità dei dirigenti di contestualizzare ed esprimere con chiarezza i comportamenti richiesti al personale, a partire dal collegamento con i compiti concretamente assegnati a ciascun dipendente sia in relazione agli aspetti tecnici che a quelli relazionali.
In questa prospettiva, gli stessi Dizionari possono essere concepiti in modo aperto, come un’elaborazione non definitiva, ma progressiva, in grado di accogliere nuove idee e nuovi spunti anche in base alle proposte degli stessi dipendenti.
Box 3 – Dizionari dei comportamenti – UK Success Profiles - Civil Service Behaviours A partire dal 2019 il Cabinet Office del Governo britannico ha introdotto un nuovo framework delle competenze dei dipendenti pubblici, che ha sostituito i precedenti Civil Service Competency Frameworks ed è costituito da cinque dimensioni:
In particolare, il nuovo framework presenta nove comportamenti (“behaviours”) richiesti ai dipendenti pubblici: (i) Seeing the big picture; (ii) Changing and improving; (iii) Making effective decisions; (iv) Leadership; (v) Communicating and influencing; (vi) Working together; (vii) Developing self and others; (viii) Managing a service quality; (ix) Delivering at pace. I contenuti di ogni comportamento vengono declinati, attraverso specifici esempi e descrittori, per ciascun livello organizzativo:
Di seguito, si propone la declinazione del comportamento “Gestire un Servizio di Qualità” (“Managing a quality service”), riportando gli esempi per ciascun livello organizzativo.
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3.6 Meccanismi di rewarding
Ribadendo ancora una volta come gli effetti della valutazione non rientrino fra i contenuti del SMVP e debbano essere oggetto di relazioni sindacali con le OO.SS., secondo le regole definite nei CCNL, appare comunque opportuno, per un’esigenza di completezza, affrontare, seppur sinteticamente, alcuni aspetti connessi all’erogazione del trattamento accessorio e, più diffusamente, ai meccanismi di incentivazione e rewarding, attivati in conseguenza degli esiti della misurazione e valutazione della performance individuale.
A tal proposito, la letteratura accademica ha più volte messo in luce la parziale inefficacia di prevedere solamente meccanismi di incentivazione monetaria nel settore pubblico per via di:
- caratteristiche strutturali (ad esempio, multidimensionalità degli obiettivi, molteplicità degli stakeholder coinvolti) che rendono non sempre facile declinare il concetto di performance nell’ambito pubblico;
- caratteristiche individuali (public service motivation dei dipendenti), sottolineando l’effetto potenzialmente negativo della previsione di soli meccanismi di incentivazione monetaria sul livello di engagement e di soddisfazione personale.
Al di là di tale premessa, la pratica organizzativa restituisce la fotografia di una generale “neutralizzazione” degli incentivi monetari quale strumento di valorizzazione del merito in quanto da un lato il trattamento accessorio, in linea con quanto già evidenziato sulla differenziazione dei giudizi, viene percepito come parte integrante della retribuzione del dipendente pubblico, dall’altro, le risorse destinate al Fondo e all’erogazione della premialità da parte delle amministrazioni sono in molti casi realmente esigue.
In tale contesto, è dunque fondamentale affiancare ai tradizionali meccanismi di rewarding non solo strumenti di incentivazione non monetaria, ma soprattutto una più efficace attivazione delle altre leve organizzative disponibili, utili a creare quell’orientamento allo sviluppo e alla valorizzazione del singolo dipendente che di per sé costituiscono un elemento motivante per i dipendenti pubblici.
A tal fine, risulta fondamentale rinforzare il legame tra esiti della valutazione e attribuzione di incarichi (dirigenziali e di posizione organizzativa) nonché attivazione di percorsi formativi e di sviluppo ad hoc per il singolo valutato.
Allo stesso tempo, si potrebbe prevedere l’introduzione di forme ulteriori di rewarding per chi ha contribuito maggiormente al miglioramento della performance dell’amministrazione quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo:
- attività di coaching e di mentoring individuale piuttosto che percorsi formativi di riconosciuta qualità, orientati allo sviluppo e alla crescita professionale del dipendente;
- riconoscimenti a livello reputazionale all’interno dell’organizzazione per i “best performer” (ad esempio, individuazione del “miglior dipendente del mese”); l’introduzione di simili strumenti deve ovviamente affiancarsi allo sviluppo e alla diffusione di pratiche di comunicazione interna all’amministrazione (ad esempio, potenziamento dell’utilizzo della newsletter e dell’intranet aziendale);
- riconoscimento del ruolo di formatori interni per i “best performer” con riferimento a specifiche dimensioni di misurazione e valutazione (ad esempio, specifici comportamenti).
Infine, è rilevante sottolineare come gli stessi meccanismi di rewarding possano avere effetti sul livello di motivazione e di engagement del personale differenti in funzione delle diverse categorie di potenziali beneficiari.
Allo scopo di garantire l’efficace utilizzo delle leve di incentivazione risulta fondamentale, pertanto, “personalizzare” i meccanismi di rewarding, anche adattandoli al livello di anzianità e all’età dei propri dipendenti.
Dipendenti più giovani potrebbero, infatti, prediligere e ritenere più motivante l’attivazione di percorsi di crescita professionale, coaching e di sviluppo individuale mentre per il personale più senior riconoscimenti a livello reputazione potrebbero tradursi in un maggiore livello di engagement e di benessere sul luogo di lavoro e, conseguentemente, in un aumento della produttività e in migliori prestazioni.
4 Oltre la valutazione della prestazione
Considerare la valutazione individuale uno strumento di gestione strategica delle risorse umane, presuppone che l’amministrazione utilizzi anche strumenti che vanno oltre la mera valutazione della prestazione resa. Si dovrebbero, infatti, tenere in considerazione ulteriori elementi che possono “completare” quelli precedentemente descritti. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla valutazione del “potenziale” attraverso le diverse metodologie di assessment, in grado di far emergere le competenze e capacità possedute dal personale, anche a prescindere da quelle realmente agite nello svolgimento della prestazione.
Per valutazione del “potenziale” si intende “ciò che il soggetto valutato potrebbe essere in grado di fare”. Si tratta di utilizzare specifiche metodologie che, attraverso l’analisi delle capacità e delle caratteristiche individuali, sono in grado di fornire indicazioni utili per i piani di sviluppo delle carriere e la crescita professionale del singolo individuo, oltre che per individuare l’idoneità a nuovi incarichi.
Generalmente, il sistema di valutazione del potenziale viene progettato in funzione dei requisiti richiesti dalle specifiche posizioni in un determinato contesto; ciò permette di realizzare interventi flessibili e ritagliati su misura. Le modalità generali di approccio prevedono la definizione delle caratteristiche da analizzare e valutare, la scelta della metodologia e degli strumenti, la fase valutativa, la restituzione dei risultati emersi ai valutati e all’ufficio responsabile dei processi di gestione e sviluppo del personale.
I processi di assessment e di valutazione del potenziale, anche in ragione della complessità e delle risorse necessarie potrebbero essere effettuati una-tantum, ad esempio in relazione all’esigenza di conferire incarichi specifici o contestualmente alla definizione delle caratteristiche delle singole posizioni (job description) per la definizione o ri-definizione degli assetti organizzativi e relativa assegnazione del personale ai singoli uffici.
Box 4 – L’assessment delle competenze in Presidenza del Consiglio dei Ministri Dal 2017, la Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM) ha promosso un processo di analisi, verifica e rafforzamento delle competenze manageriali rivolto alla dirigenza, quale obiettivo strategico di sviluppo e valorizzazione delle risorse umane (assessment). Il progetto, condotto in collaborazione con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) e un team dedicato di ricercatori, ha finora coinvolto 237 dirigenti realizzando tre azioni e obiettivi specifici:
Da un punto di vista metodologico ed operativo, gli obiettivi descritti sono stati perseguiti attraverso le seguenti fasi:
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